In Italia sarà statalizzazione indiretta delle banche
Di Carlo Pelanda (23-2-2009)
Ieri, a Berlino, i principali governi europei si sono accordati sulle nuove regole da proporre al G20 di Washington per dare stabilità al mercato finanziario globale del futuro affinché crisi come quella in atto non avvengano più (Merkel). Ma non hanno detto alcunché di rilevante sul come uscire da quella in corso, in particolare la crisi bancaria. Mancanza grave? No, ormai il sistema bancario europeo (ed americano) è già statalizzato, blindato. Dall’ottobre scorso, infatti, le principali banche sono state nazionalizzate direttamente oppure hanno bisogno di sostegni di capitale e garanzie statali per restare operative, quindi nazionalizzate indirettamente. Infatti è strano che si discuta sui giornali se nazionalizzare o meno. Sarebbe più corretto chiedersi quante banche passeranno dalla statalizzazione indiretta a quella diretta. E se ciò succederà in Italia.
Il problema di fondo è dovuto al fatto che la quantità di finanza
tossica nei bilanci delle grandi banche europee ed americane ha superato i
mezzi propri. Il termine “tossico” indica un prodotto finanziario sospettabile di insolvenza totale o parziale e quindi non più scambiabile
nel mercato. Se una banca, per dire, ha 100 miliardi di tali
prodotti e 10 di patrimonio di garanzia, il valore di mercato dei primi è zero
e la banca è virtualmente fallita. Per tale motivo governi e Banche
centrali, dal 2007, hanno permesso agli istituti di truccare i bilanci,
lasciandoli valorizzare le tossicità a libro e non a mercato. Inoltre non ha imposto la trasparenza per non svelare i
buchi. In più alle banche opache è stata fornita liquidità infinita senza
condizione di trasparenza. Tale mostruoso errore ha finanziato il problema fino
ad ingigantirlo, bloccando l’intero mercato finanziario e, nel settembre 2008,
facendo saltare le banche più esposte. Quelle meno esposte, come le italiane,
soffrono comunque per la difficoltà di ri-finanziare
il loro debito operativo. Quelle europee, tra cui le italiane, inoltre, sono
vulnerabili al rischio di insolvenze nei mercati
emergenti, stimate dalla Bri tra i 3 e 4 trilioni di euro.